Diario di Bordo: Irlanda

Volo fra le nuvole. Il rombo dei motori dell’aereo diminuisce esponenzialmente, mentre aumenta il battito del mio cuore. Guardo fuori dal finestrino: tra il manto bianco grigiastro che copre la Terra, si scorgono distese infinite di un verde smeraldo. Come al momento del decollo, sento le lacrime bussare prepotentemente dietro ai miei occhi. Vogliono uscire. Così glielo concedo, mentre il verde si fa sempre più intenso e l’aereo inizia a perdere quota. Sto arrivando. Stiamo atterrando. Sono qui, sotto il Cielo d’Irlanda e può sembrare strano, ma questo non è un arrivo; quanto piuttosto una partenza. Una partenza per un viaggio ancora più difficile: quello alla ricerca di me stessa.

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Sono seduta al culmine della Grand Parade, sulle rive del fiume Lee. Mi guardo intorno: una signora, probabilmente un po’ affaticata, si affaccia dal pontile. Sembra guardare la luna piena che sorge dietro le guglie di una chiesa gotica. Dalla parte opposta, un gruppo di ragazze si scatta un selfie mentre il sole tramonta dietro la Cattedrale. Nel mentre, io sono lì, ferma. A guardare me, c’è invece quel meraviglioso murales dall’altra sponda del fiume: una ragazza dai capelli rosso fuoco e dal maglione verde, tendente all’ottanio. Ha uno sguardo pieno di speranza. Nessuno ha fretta. Solo i giovani che, probabilmente, appena finito di lavorare possono andare al pub, a prendere una birra con gli amici. Il filo conduttore dei miei pensieri viene spezzato dalle decine di gabbiani che svolazzano nel parco. Volano senza una meta particolare, ritornando ad appoggiarsi sulla ringhiera che delimita il pontile a pochi centimetri di distanza dal posto in cui si trovavano una manciata di secondi prima. Volano, si fermano, e riprendono il cerchio, ricordandomi che in questa città tutti possono sentirsi finalmente e veramente liberi.